Home » interviste al fisiatra » DISCOPATIE ED ERNIE DEL DISCO

DISCOPATIE ED ERNIE DEL DISCO

PROTRUSIONI E ERNIE: l'esperto risponde- INTERVISTA AL PROF. MASSIMILIANO NOSEDA

 

PROTRUSIONI ED ERNIE DEL DISCO

 

Che differenza c’è tra protrusione ed ernia discale ? A chi è bene rivolgersi ? Quali sono le terapie possibili e quali trattamenti è invece opportuno evitare ? Infine, quando è da considerare l’intervento ? Ne parliamo con il Prof Massimiliano Noseda, medico specialista in medicina fisica e riabilitazione, docente universitario, consulente di strutture riabilitative, palestre e centri sportivi, in questa intervista realizzata per la rivista DIAGNOSI E TERAPIA n 1 del gennaio 2019 sul tema "PROTRUSIONI ED ERNIE DEL DISCO". Si precisa che il seguente scritto ha una finalità puramante divulgativa e non è sostitutivo di una visita specialistica, unica procedura in grado di confermare la diagnosi e di valutare il trattamento riabilitativo più adatto al caso specifico.

 

Che funzione hanno i dischi intervertebrali ?

I dischi intervertebrali sono strutture fibrocartilaginee circolari, poste tra le vertebre, che hanno una funzione ammortizzante. Sono infatti in grado di distribuire al meglio il carico sia in condizioni statiche sia in situazioni dinamiche. Coprono circa un terzo della lunghezza complessiva dell’intera colonna vertebrale e il loro spessore aumenta in senso craniocaudale poichè maggiore è il carico da sopportare ai livelli inferiori.

 

Cosa si intende per discopatia ?

Per discopatia si intende in senso generale una sofferenza o una patologia del disco intervertebrale. Questa può essere dovuta sia a traumi acuti, come incidenti stradali in auto o in moto, sia a microtraumi ripetuti come avviene tipicamente in alcune discipline sportive che hanno alla base il salto, come basket e pallavolo, o possibili cadute come ciclismo, sci o pattinaggio. La loro usura è infine favorita dalla sedentarietà e dall’avanzare dell’età che ne causano un assottigliamento da progressiva disidratazione.

 

Che differenza c’è tra protrusione ed ernia del disco ?

La protrusione è dovuta per lo più allo schiacciamento dell’intero disco che deborda spesso posteriormente rispetto ai piatti vertebrali tra i quali è collocato con possibilità di entrare in conflitto con le strutture nervose posteriori e dare così dolore oltre ad attivare un processo infiammatorio locale. Si tratta dell’alterazione più frequente e comune già dopo i 40 anni soprattutto nei soggetti che per motivi lavorativi o sportivi mantengono posture fisse e prolungate o sollevano carichi pesanti. Differente è invece il concetto di ernia del disco dovuta alla rottura dell’anulus fibroso del disco intervertebrale, ovvero del suo rivestimento esterno, che causa la fuoriuscita posterolaterale del nucleo polposo, ovvero della sostanza gelatinosa interna, andando a comprimere le strutture nervose adiacenti.

 

In quali punti della colonna sono più frequenti le discopatie ?

Quelle da usura sono più frequenti a livello degli ultimi dischi cervicali e lombari in quanto punto di passaggio tra una regione molto mobile della colonna e una zona molto rigida come appunto lo sono la gabbia toracica e il sacro. Quelle postraumatiche hanno invece una localizzazione più variabile e dipendono ovviamente dalla regione di impatto.

 

Cosa può lamentare il paziente in questi casi ?

Un dolore anche invalidante e molto intenso lombare o cervicale che può essere irradiato lungo l’arto destro o sinistro a seconda della localizzazione della compressione e può essere riferito anteriormente alla coscia in caso di interessamento del nervo ischio-crurale o posteriormente se è coinvolto lo sciatico. Possono esserci poi ipotrofia e ipostenia muscolare se è coinvolta una fibra motoria o disestesie e ipoestesie se è interessata una radice sensitiva.

 

A chi è opportuno rivolgersi ?

Serve innanzitutto una consulenza specialistica fisiatrica o ortopedica per inquadrare correttamente il problema e stimarne la gravità. Oltre alla visita medica, una radiografia potrà essere utile in prima battuta sia per valutare il tratto del rachide interessato sia per ipotizzare possibili discopatie anche se solo indirettamente. La radiografia non vede infatti i dischi intervertebrali ma li rileva come aree vuote tra le vertebre. Pertanto spazi ridotti, vertebre non allineate o piatti vertebrali contrapposti irregolari sono un chiaro segno indiretto di discopatia. L’esame principe è però la risonanza magnetica che studia nel dettaglio il disco e quindi è in grado non solo di distinguere tra protrusione e ernia ma anche di vedere il possibile conflitto con le radici nervose. Si tratta tuttavia di un esame costoso che deve essere prescritto dallo specialista e richiesto solo in caso di reale necessità quando le prime cure sembrano non essere efficaci.

 

Cosa è opportuno fare e cosa è meglio evitare in caso di protrusione ?

In fase acuta è consigliato un riposo attivo. Ciò significa che il soggetto può anche decidere di trascorrere parte della giornata sdraiato in quanto questa postura scarica i dischi naturalmente ma dovrebbe comunque muoversi in ambito domiciliare per i suoi comuni bisogni come mangiare, andare al bagno o lavarsi. Un discorso similare vale per l’eventuale busto o collare. E’ da considerare solo se il dolore è importante, non va tenuto di notte, e le ore di utilizzo devono essere progressivamente ridotte fino ad eliminarlo nel tempo massimo di una settimana. Vanno poi assunti antinfiammatori con eventuale gastroprotezione e deve essere considerato l’uso del cortisone in caso di scarsa risposta sul sintomo dolore. Sono invece da evitare trattamenti osteopatici e manipolativi che potrebbero causare un’ulteriore fuoriuscita dell’ernia e quindi determinare un indesiderato peggioramento del quadro clinico. Compatibilmente con l’attenuazione del dolore, deve poi essere intrapresa una ginnastica riabilitativa mirata impostata da un fisioterapista esperto e non improvvisato da altre figure professionali.

In oltre l’80% dei casi quanto descritto è sufficiente far regredire la sintomatologia. Al fine di prevenire la recidiva il soggetto dovrà pero scendere di peso, se in sovrappeso, proseguire la ginnastica riabilitativa anche in autonomia e possibilmente aggiungere un’attività sportiva di tonificazione generale come il nuoto, meglio se a dorso, o qualche attività rilassanti anche di gruppo in palestra come il pilates o lo yoga.

 

Cosa è bene considerare in caso di ernia ?

Le ernie più piccole vengono trattate come già illustrato per le protrusioni. Tuttavia, per quelle di dimensioni maggiori è possibile considerare tecniche mininvasive percutanee come la laserterapia, la coblazione o la IDET che in pratica sfruttano diverse fonti di calore per rimodellare e rimpicciolire l’ernia allentando così la compressione sulle strutture nervose adiacenti. Possibile è poi anche considerare l’ozonoterapia ovvero l’iniezione di una miscela di ossigeno e ozono che tende ad avere sia un effetto miorilassante sulla muscolatura paravertebrale sia un’azione smussante e levigante sull’ernia.

 

Quando si prende in considerazione invece l’intervento chirurgico classico ?

La chirurgia classica è oggi riservata solo al 10 % dei pazienti che non trova significativi miglioramenti alle tecniche conservative e mininvasive fino a qui illustrate dopo 4 o 6 mesi di trattamento. L’intervento dura circa un’ora, può essere fatto in anestesia generale o epidurale, e richiede normalmente 1 o 2 giorni di ricovero. Tecnicamente si effettua un piccolo taglio tra le vertebre interessate, si apre il legamento giallo e si accede al canale vertebrale per rimuovere l’ernia. Dopo un riposo variabile da 2 a 3 settimane, con o senza bustino o collare, inizia il trattamento riabilitativo volto sia a recuperare tono, trofismo e stenia, sia a migliorare la postura generale e a correggere eventuali vizi del cammino.

 

Quali sono le possibili complicanze dell’intervento chirurgico ?

Innanzitutto è possibile la recidiva dell’ernia che per motivi di carico si può riformare sia nella stessa posizione sia ad altri livelli. Altra complicanza ipotizzabile è poi la comparsa del cheloide ovvero di una cicatrice ipertrofica successiva all’incisione chirurgica che può a sua volta imbrigliare e comprimere proprio la radice nervosa che l’intervento si era proposto di decomprimere. Decisamente più rari sono invece la spondilodiscite, ovvero un’infezione del disco intervertebrale trattato che richiede terapia antibiotica prolungata, o l’instabilità vertebrale dovuta all’alterazione del rapporto anatomico tra le vertebre conseguente all’indebolimento delle strutture muscolari e legamentose conseguenti al taglio chirurgico.